Scrittrice e sceneggiatrice.

Nasce a Borgomanero, in Piemonte, vive a Torino e successivamente a Roma e Napoli.
Scrive con Massimo Troisi le sceneggiature di tutti i suoi film , dal primo, ‘Ricomincio da tre’ fino a “Il Postino” con la regia di Michael Radford.

Attualmente continua a scrivere film, gli ultimi sono “Elsa & Fred” con la regia di Michael Radford e interpretato da Shirley MacLaine e Christopher Plummer. Sempre per lo stesso regista, ha scritto “La musica del silenzio”, film biografico sul tenore Andrea Bocelli.

Pubblica narrativa con la casa editrice E/O. Un suo romanzo di successo è “Da domani mi alzo tardi”, dedicato al ricordo di Massimo Troisi, da cui sono stati recentemente tratti il film omonimo con la regia di Stefano Veneruso e uno spettacolo teatrale da lei stessa interpretato.



Neruda nel cinema italiano: Il Postino (1994)

Antonio Skàrmeta scrive “Il postino di Neruda” nel 1986 e nel 1994 Michael Radford dirige un film tratto dal libro che ha come protagonista Massimo Troisi. Il film avrà cinque candidature all’Oscar, Miglior Regia, Miglior Attore Protagonista, Miglior Sceneggiatura non Originale, Miglior Produzione e la statuetta sarà vinta da Luis Bacalov per la Miglior Colonna Sonora.

Ho avuto modo di conoscere Antonio Skàrmeta in Italia, alla fiera del libro di Torino, dopo averlo prima incontrato nelle pagine del suo romanzo, quando ne feci, insieme a Massimo Troisi e Michael Radford, l’adattamento cinematografico. Ho di lui il ricordo di una persona dolce, morbida e mi è parso che l’uomo corrispondesse perfettamente all’artista, che il libro gli appartenesse come la sua pacatezza, il suo sorriso, il suo sguardo vivace e la meravigliosa lingua con cui mi parlava, che però non comprendevo. E’ stato così un incontro di sensibilità, di supposizioni, di espressioni del volto che però mi ha lasciato un segno indimenticabile.

Nessuno meglio di lui poteva raccontare il Neruda privato, portarci nella sua casa di Isla Negra, mostracelo mentre balla con Matilde o cucina con una cipolla in una mano e un coltello nell’altra, trasformando il tutto in poesia. Seguirlo poi nel suo disincanto di fronte alla notizia del premio Nobel, gradita ma accolta con modestia, senza autocelebrazioni e vanità. Ci ha restituito l’uomo capace di dare ascolto agli ultimi, lo stesso che ha riportato con dolorosa empatia la voce del minatore, ‘creatura senza volto, maschera di sudore, polvere e sangue’ che lui stesso vide emergere dalle viscere della terra cilena. Un semplice postino poco acculturato, ma con una sensibilità acuta e tanti ideali, diventa grazie alla penna di Skàrmeta il migliore confidente del Poeta, quello a cui chiede conforto dall’esilio, pregandolo di inviargli i suoni dell’isola. Mi sono sempre chiesta se quel postino sia mai esistito e, in caso negativo, a quale piega della realtà si sia mai ispirato l’autore per inventare un personaggio così vero e credibile.

Massimo Troisi, sensibilità acuta, animo poetico, autore, regista, attore napoletano di grande talento, che in Italia viene considerato erede del genio di Eduardo de Filippo, legge il libro e se ne innamora. Proprio l’idea di sbirciare nelle pieghe meno evidenti dell’animo del Poeta, il poter dare realtà alla vita che si nasconde dietro a un verso e, ancor più, alla luce bellissima ma accecante del più prestigioso premio del mondo, il Nobel, lo ha indotto a desiderare di farne il capolavoro della propria vita artistica e anche personale. Certo non poteva prevedere che il film avrebbe avuto ali così forti da volare fin oltre oceano e arrivare agli Oscar, ma ci ha messo tutti gli ingredienti per renderlo eccezionale: talento, passione, professionalità a cui il destino ha aggiunto una croce che Massimo ha imbracciato con coraggio e determinazione. Nel film si vede tutto, non solo il prodotto artistico, ma l’anima, che appare sullo schermo nuda, quasi che l’immagine, il volto scavato, il corpo magro, fossero solo il tramite materiale per l’interiorità imprendibile che pervade il personaggio. Il Postino è stato per Massimo Troisi l’ultimo film: ha girato con le ultime forze che un cuore in attesa di un trapianto gli ha concesso. Ostinatamente si è rifiutato di rimandare le riprese, di interromperle quando si è sentito stanco. Un venerdì di giugno ha terminato il suo lavoro, ha salutato tutti, facendo la classica foto di fine riprese e dicendo “Non dimenticatevi di me”. Il sabato pomeriggio si è addormentato e se n’è andato.

“Il Postino” sembra contenere inconsapevolmente il proprio futuro, ha dentro un senso di dispiacere e di fine delle cose che parte dalla finzione della storia e della pellicola per continuare nella vita in modo clamoroso. La finzione si confonde dolorosamente con la realtà. Ma nel film non c’è solo tristezza, lo governano anche sorriso e poesia, stessi ingredienti del libro, anche se l’adattamento ha richiesto molti cambiamenti. Un cambiamento di epoca, dal 1973 al 1952, di ambiente, dal Cile all’Italia, di età del protagonista che da giovane diciassettenne diventa un adulto senza età, ma con sogni e aspirazioni intatti e puri. Adattare il romanzo è stato affascinante. Mentre il Postino, personaggio nato dalla creatività dello scrittore, lasciava più libertà, Neruda ha richiesto un lavoro che doveva essere rispettoso della grandezza a tutti nota. Non sempre ci si poteva avvalere dei dialoghi del romanzo, perché molti degli elementi che fanno grande il personaggio sulla carta, sono narrati e non dialogati. Come far parlare il Poeta nel film rimanendo alla sua altezza? “Confesso che ho vissuto”, scritto dallo stesso Neruda in prima persona, è stata la soluzione. Scavando a fondo nelle parole espresse dal Poeta è stato possibile costruire i suoi dialoghi. Il personaggio di Mario Jimenez, che in Italia diventa Mario Ruoppolo, nel romanzo ha la freschezza della giovinezza, ma ritrova la sua vivacità nel talento di Massimo Troisi. Sono molte le licenze che ci si deve prendere per trasformare un bel libro in un buon film, come per esempio infilare più di un falso storico nella vicenda e perdonarsi. C’era però nel ‘Postino di Neruda’ un elemento che è stato davvero necessario rispettare, la poesia che sul finale si fa dolente per la morte di Pablo Neruda, che avviene durante il colpo di Stato di Pinochet. Falso storico sì, ma non si poteva certo far morire il poeta in anticipo di vent’anni. Così, per conservare il senso di perdita che pervade la fine della storia, è stato inevitabile che morisse il Postino e che il cordoglio che nel romanzo è suo, fosse invece del Poeta: Pablo Neruda, tornando nell’isola in cui tutta la vicenda si è svolta, scopre che il suo amico e confidente non c’è più. C’è suo figlio, orfano già prima di nascere, che porta il suo nome, Pablito. Purtroppo quel senso di morte è uscito dalla finzione ed è entrato nella realtà, con la morte di Massimo Troisi si è creato un vuoto per tutti noi che lo abbiamo conosciuto e per il pubblico che lo ha amato, davvero incolmabile. La visione del film ci consola e al tempo stesso ci addolora ancora oggi.